Negli Stati Uniti crescita boom per i consumi e piena (o quasi) occupazione. Ma l’ottimismo cede a spirali di crisi geopolitiche, inflazione e aggressive strette sui tassi necessarie per combatterla
È il racconto di due economie. Una è la storia odierna della crescita americana, del boom di consumi e piena – o quasi – occupazione. L’altra è narrata nel linguaggio di un domani dove l’ottimismo cede invece a spirali di crisi geopolitiche, inflazione, aggressive strette sui tassi necessarie per combatterla.
A prevalere, per ora, è la prima versione. Un’espansione che tiene al cospetto delle incognite nutrendo la speranza di saper evitare scivolate in recessione. Ed è qui che trova spazio la nuova scommessa dell’azienda Italia sugli Stati Uniti, dall’export di moda, lusso, vini e alimentari di qualità a ruoli in progetti infrastrutturali e industriali.
«Siamo reduci da un 2021 – dice Antonio Laspina, direttore Ice a New York – che ha visto le nostre esportazioni crescere di oltre il 20%, a 61 miliardi, generando un surplus di 40 miliardi. Quasi tutti i settori hanno superato i valori del 2019, pre pandemia. Quest’anno dal ritorno delle fiere, dall’interesse di compratori americani e imprese italiane a essere presenti, giungono segnali di ulteriori avanzate nell’high tech come nell’aerospazio, nella meccanica come nel sistema moda e food». Da parte delle aziende italiane, aggiunge, aiuta oggi un «approccio più progettuale, una maggior consapevolezza del mercato americano». Nonché «l’attenzione alla Bidenomics, a opportunità create da programmi dell’amministrazione su infrastrutture, difesa ambientale e sostenibilità, reshoring manifatturiero e ripensamenti della supply chain» ai danni di Paesi meno affidabili.
Gli esempi si moltiplicano: Stephan Winkelmann, Ceo di Lamborghini, casa madre tedesca (Volkswagen) e sede a Sant’Agata Bolognese, ha fatto tappa al Salone dell’auto a Manhattan e prevede una continua forte domanda negli Usa, che è il principale mercato del brand di auto italiane di super lusso. Successo, riporta l’Ice, ha sorriso alla partecipazione italiana a manifestazioni fieristiche, da Fancy Food a Las Vegas in gennaio a Coterie in abbigliamento e tessile a New York a marzo con 70 società. In aprile è toccato a Coverings, rassegna nordamericana della ceramica. Anche lì i risultati sono stati buoni. Una missione nella gioielleria a maggio vedrà l’arrivo di 50 aziende invece di 30 ipotizzate. Crescita prevista anche per la partecipazione a prossimi saloni della cosmetica e dell’arredamento, mentre al Fancy Food di New York a giugno sono già iscritti 300 gruppi italiani, alla pari del 2019.
Le chance di preservare la crescita negli Stati Uniti sono facilitate, rispetto all’Europa, da una maggior distanza dalla guerra in Ucraina e dall’indipendenza energetica. Ci crede la Casa Bianca: il direttore del Consiglio economico nazionale Brian Deese ha detto come gli Usa «siano meglio posizionati di ogni altro Paese al mondo per un periodo molto difficile». Il Segretario al Tesoro Janet Yellen ha espresso preoccupazione ma, tra le aree più sviluppate, anzitutto per l’Europa. Una tenuta invoca anche il chairman della Federal Reserve Jerome Powell: «Il piano è restituire stabilità dei prezzi e allo stesso tempo sostenere un robusto mercato del lavoro», ha indicato al termine del più recente vertice della Banca centrale che ha fatto scattare il primo di un’attesa serie di rialzo dei tassi.
L’obiettivo, insomma, è un soft landing, una frenata dell’espansione che non la sacrifichi. I precedenti storici mostrano che è arduo, soprattutto davanti a un’inflazione già eccessiva. E lo è: il balzo dell’8,5% annuale dei prezzi al consumo in marzo è stato il massimo dal 1981, affiancato da incrementi record dell’11,2% nei prezzi alla produzione. Né è chiaro se i rincari abbiamo raggiunto picchi. Sondaggi tra gli economisti vedono così probabilità di recessione entro un anno lievitate al 28% dal 13% del 2021. E aumentano i loro profeti, dall’ex Segretario al Tesoro Larry Summers all’ex governatore della sede Fed di New York William Dudley. Summers ha ricordato una formula: «In 75 anni ogni volta che l’inflazione ha superato il 4% e la disoccupazione è scesa sotto il 5%, l’economia Usa è caduta in recessione entro due anni». La Corporate America prende nota: le banche nei bilanci del primo trimestre hanno accantonato riserve a fronte di possibili rovesci.