“Ci sono soltanto sei Paesi al mondo con un surplus di bilancia commerciale con l’estero, esclusi i minerali energetici, superiore ai 100 miliardi di dollari: uno di essi è l’Italia“.
I dati mostrati dal professor Fortis ci dicono che si tratta di “una dimostrazione inequivocabile della straordinaria competitività del made in Italy, troppo spesso in passato dato frettolosamente per spacciato nell’agone della globalizzazione e invece sempre più forte, irrobustito dal grande ciclo di nuovi investimenti in macchinari e tecnologie digitali innescato dal Piano Industria 4.0“.
Non solo: ci dicono anche che “nonostante i rincari delle materie prime e dell’energia, le interruzioni delle forniture lungo le filiere globali e l’avvio della guerra russo-ucraina, anche nel 2022 l’export dell`Italia è risultato ancora in crescita nel primo trimestre, con un +23% rispetto allo stesso periodo del 2021, brillantemente in testa tra le quattro maggiori economie dell`eurozona”.
Fortis si chiede quali siano le ragioni di questo successo del made in Italy: “una delle ragioni più importanti viene proprio da quel modello manifatturiero tipicamente italiano, spesso messo ingiustamente in discussione, che vede il nostro Paese poco dotato di grandi gruppi multinazionali e caratterizzato invece da un capitalismo diffuso di dinamiche e innovative imprese medio-grandi, medie e piccole, e pertanto capace di esprimere molte leadership di nicchia anziché essere concentrato su pochi mega settori industriali”.
Inoltre, “anche l’attuale crisi della globalizzazione tradizionale, con le strozzature nelle forniture internazionali innescate dalla pandemia e l’aumento dei costi dell`energia e dei trasporti a lunga distanza, ha visto il made in Italy meno esposto di altri competitor (si pensi alla crisi dell`auto tedesca bloccata dalla mancanza di componentistica elettronica), grazie alle filiere corte dell’Italia e al fatto di aver mantenuto sul proprio territorio tante attività produttive rispetto alle economie che nel corso degli anni hanno delocalizzato massicciamente, in termini sia di fabbriche sia di approvvigionamenti”.
E ancora, “uno degli indicatori più importanti che spiegano la competitività del made in Italy è rappresentato dall’Indice di concentrazione dei prodotti esportati elaborato dall’Unctad (basato sulla classificazione dei prodotti Sitc a 3 cifre). Tale indicatore è un tipico Indice di Herfindahl-Hirschman che, in questo caso, stabilisce se e in che misura l’export di un dato Paese è troppo concentrato su pochi prodotti ed è quindi più esposto alle eventuali congiunture negative di qualcuno di essi”. L’Italia, infatti, è sempre stata il Paese del mondo con il più basso grado di concentrazione dei prodotti esportati.
“Nel 2019 e analogamente agli anni precedenti l’Italia ha presentato un indice di differenziazione nettamente più alto rispetto a tutti gli altri Paesi del mondo. Vale a dire che nessun’altra economia come l’Italia esporta così tanti prodotti diversi con altrettanto, successo”.
Una rilevante differenziazione che viene confermata anche da un altro indice: il rapporto di concentrazione (Cr): l’Italia, è l‘economia con la minore concentrazione dei prodotti esportati al mondo.
Insomma, scrive Fortis, “l’export del made in Italy è davvero qualcosa di unico al mondo”.
In conclusione, “la forza dell’Italia e della sua manifattura sta nella sua capacità di presidiare con successo circa 3 mila nicchie in cui essa è leader a livello mondiale grazie al dinamismo e all’intraprendenza di un numero consistente di piccole, medie e medio-grandi imprese. La questione dirimente, dunque, non è “se essere piccoli” o “se essere grandi” bensì “se si è abbastanza forti e differenziati”. E l’Italia lo è più di tutti al mondo”.